mercoledì 6 marzo 2024

SE LA POLITICA SI DIMENTICA DEI GIOVANI

 Non lasciamo che i nostri ragazzi perdano fiducia nelle istituzioni

Il Presidente Mattarella, parlando di fallimento dell'uso della violenza verso i giovani, ha voluto sottolineare come il diritto di manifestare si colleghi in maniera forte al dovere di educare. 

Le buone idee, quelle che servono al nostro futuro, nascono e si alimentano grazie ad una buona educazione. E qui entrano in gioco la famiglia e la scuola.  

Il richiamo del presidente della Repubblica alla necessità di assicurare la sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni, in particolar modo per i ragazzi, deve fare riflettere tutti noi. 

Nessuno, beninteso, deve volere il disordine e occorre sempre la massima chiarezza. Bisogna non confondere mai le cattive ragioni per manifestare con la possibilità di reprimere le manifestazioni.

I giovani, che sono purtroppo sempre di meno, sono tentati dalla sfiducia, si vedono condannati a restare ai margini di una società avvitata sul presente e invece devono essere i protagonisti del futuro. Nella realtà, a causa di uno scarso ricambio della classe dirigente, non ci sono tanti giovani ai vertici delle istituzioni, costretti come sono “ad aspettare il loro turno” (che peraltro non arriva mai). 

Anche a casa nostra resta altissima la percentuale di figli che vivono in famiglia, totalmente dipendenti da essa, anche fino a 35 anni. Si tratta di un sistema che blocca i  processi di emancipazione, di maturazione e buona parte della responsabilità è dell’attuale società, fondata su pratiche gerontocratiche, che non si occupa a sufficienza di offrire ai giovani gli strumenti indispensabili, che stenta ad abbandonare logiche di protezione per favorire invece autonomia e indipendenza. Per farlo deve decidersi ad intervenire su questioni cruciali e ancora irrisolte: l’abitazione, l'accesso al lavoro e la disponibilità di adeguati ed accessibili servizi sociali. 

Se la politica, che ha il dovere di guardare a tutta la popolazione, si dimentica dei giovani, il destino della nostra società è segnato. Assistiamo ad una desolante fuga dei giovani dall'Italia, a nascite sempre inferiori rispetto all’anno precedente, ad una  crisi di sistema (confermato dal crescente astensionismo), che perde man mano di vitalità.

Ben vengano quindi le manifestazioni di giovani, nell’ambito del rispetto delle regole. Nel momento in cui i giovani prendono la parola, non si tratta di tutelarli ma di consentire loro di poter esercitare i diritti di libertà, in una sorta di tirocinio alla democrazia che può farli venir fuori dai margini della vita pubblica in cui troppo spesso sono relegati. E’ nell’interesse di tutti!


Manganellare uno sparuto gruppo di adolescenti a volto scoperto che arretrava attonito — come mostrano le immagini — è una manifestazione al contempo di arroganza e di debolezza.

Giustamente, Mattarella ha parlato di fallimento.

Ma c’è qualcosa di ancora più fallimentare delle manganellate.

Le motivazioni e le discussioni che ne sono seguite.

Dietro questa violenza non c’è conflitto. Non c’è il conflitto sociale e politico dei decenni passati, che contrapponeva generazioni, in classi sociali. Non c’è quella tensione, anche confusa, dietro cui s’intuivano diverse progettualità sul futuro.

Dietro queste manganellate non c’èniente di tutto questo. Certamente alle manifestazioni molti slogan e tanti atti — come bruciare raffiguranti la premier — sono esecrabili. Ma è ben più grave constatare come nella violenta reazione non si intravveda la preoccup per un vero pericolo pubblico, per precise minacce da sventare; ma soltanto la discutibile voglia di far capire chi comanda.

Lo si comprende anche dalle discussioni seguite, in cui i manifestanti e le loro ragioni sono subito scomparsi, rapidamente sostituiti solito roteare di chiacchiere per polarizzare lo scontro fra le parti; con le forze di governo pronte a spostare l’attenzione dalla discutibilesolerzia della polizia.

Tipica reazione di un governo che maschera la debolezza della propria azione soffiando sul fuoco delle tante insicurezze presenti n società. Così pochi ragazzi in corteo diventano dei pericolosi black bloc. E si rinnova quanto già visto con i partecipanti ai rave, opp con l’ostinata volontà di trasformare un fenomeno di enorme portata — quale quello migratorio — in una mera questione di ordine pubblico.

Dal canto loro, le opposizioni spesso cadono in questo gioco delle contrapposte dichiarazioni, anche perché poco in grado di coord loro varie anime così da rendersi effettivamente alternativi.

Nascono così accuse e grida tese soltanto a rassicurare i propri referenti, a cristallizzare gli schieramenti; ma senza essere mai in di affrontare davvero i problemi. Il dialogo — vera essenza della politica — è anestetizzato.

Come nelle vecchie faide, in cui si continua a darsele di santa ragione sebbene si sia perso di vista il motivo. C’è radicalizzazione, senza conflitto.

Un vuoto che fa meno male delle manganellate, ma non è meno pericoloso.

Salvo Sorbello

Presidente del Forum delle Associazioni Familiari

L'OSSERVATORIO CIVICO DI SIRACUSA INCONTRA L'ORDINE DEI MEDICI

 L’Osservatorio Civico di Siracusa, che nei pochi mesi di vita ha già raggiunto un ragguardevole numero di importanti e qualificate adesioni, sia di singoli che di enti ed associazioni, ha chiesto di potersi confrontare con il presidente dell’Ordine dei Medici, Anselmo Madeddu, affermato professionista che da anni svolge peraltro ruoli di assoluto rilievo nella gestione della sanità pubblica provinciale. Per l’Osservatorio erano presenti il presidente Salvo Sorbello, la sua vice Donatella Lo Giudice e il coordinatore del comitato tecnico-scientifico Franco Cirillo. 

La lezione della pandemia è servita a rendere ancora più centrale ed evidente il ruolo nevralgico rivestito dalla sanità, in particolar modo in una provincia come la nostra, che vede crescere a vista d’occhio l’età media dei suoi abitanti, tanto che il 25% della popolazione ha già superato i 65 anni. Il covid ha dimostrato che la salute non è una condizione esclusivamente individuale, ma un bene comune, perché siamo interdipendenti ed è stato correttamente affermato che ogni azione mirante a tutelare la salute è egoistica ed altruistica insieme, in quanto porta vantaggi al singolo e agli altri. 

Tema centrale dell’incontro non poteva che essere la realizzazione del nuovo ospedale di Siracusa. Sia gli esponenti dell’Osservatorio Civico che il presidente dell’Ordine dei Medici hanno convenuto che il nuovo ospedale deve essere fondato su criteri e modelli che tengano conto di tutte le innovazioni digitali, creando, al contempo, ambienti di lavoro  e di cura accoglienti e ospitali.

In questo contesto l’idea che ampi strati della società civile e l’ordine professionale dei medici condividano concrete azioni comuni per affermare il diritto alla salute di tutti i cittadini, a partire dal servizio sanitario nazionale, potrebbe risultare a Siracusa davvero vincente, perché proprio il livello di salute e di benessere della popolazione è il primo indicatore da guardare per garantire un futuro migliore alla società. 

Dall’incontro tra Osservatorio Civico e Ordine dei Medici scaturirà probabilmente un serio programma di lavoro articolato e concreto, con l’obiettivo di monitorare l’iter di realizzazione del nuovo nosocomio e, ove possibile, fornire un contributo per raggiungere l’obiettivo di dotare Siracusa di strutture sanitarie adeguate ai sempre maggiori e mutati bisogni della popolazione e rispondenti ai cambiamenti economici, sociali e sanitari. 

Dopo decenni di attesa e alla luce anche della preoccupante vetustà degli edifici dell’ospedale esistente, è indispensabile poter avere al più presto un'infrastruttura sanitaria adeguata.

I VESCOVI SICILIANI E I RISCHI DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA PER LA SICILIA

 I Vescovi delle diocesi siciliani tornano ad intervenire in merito alla proposta di legge sull’Autonomia differenziata, attualmente in discussione alla Camera dopo l’approvazione in Senato. 

E non è la prima volta che lo fanno: già nel maggio dello scorso anno avevano presentato delle osservazioni, tramite il Vescovo mons. Marciante, delegato per la Pastorale Sociale. Gli stessi vertici della CEI, con il Presidente Card. Zuppi, hanno più volte manifestato serie perplessità, che sono state evidenziate nei giorni scorsi anche a Siracusa, in un importante confronto tra varie, autorevoli voci.

I vescovi siciliani ora sottolineano, molto opportunamente, come ci siano ancora degli importanti aspetti da affrontare e risolvere, “specialmente in riferimento alla particolare autonomia di cui gode la Sicilia, essendo una regione a Statuto speciale ma che non ha visto ancora non del tutto attuato quanto contemplato in esso”.  

A tal proposito è bene ricordare che proprio nel cattolicesimo sociale si trovano i fondamenti dell’autonomia degli enti locali, all’interno di un’articolazione organica dello Stato. Basti pensare a don Luigi Sturzo, alla sua battaglia per “un sano e vero regionalismo”, che trova fondamento nel principio di sussidiarietà, basilare pilastro della Dottrina sociale della Chiesa.  “È tempo oramai - scriveva don Sturzo nel 1901 - di comprendere che gli organismi inferiori dello stato (regione, provincia, comune) non sono semplici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono avere vita propria, che corrisponda ai bisogni dell'ambiente, che sviluppi le iniziative popolari, dia impulso alla produzione ed al commercio locale. Così solamente la questione del nord e sud piglierà la via pratica di soluzione, senza ingiustizie e senza odii e rancori”.

I vescovi siciliani evidenziano ora le “incertezze che attengono ai rapporti finanziari, alle risorse economiche, a fronte di un Sud del Paese che ha un enorme bisogno di risorse e che ha problemi strutturali storici che andrebbero risolti, attraverso un percorso reale, fattivo ed in tempi brevi capace di assicurare una risposta unica, certa e definitiva”. Ed ancora i vescovi sottolineano le criticità ancora esistenti in ordine alla determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni).  

“Territori maggiormente produttivi avrebbero introiti maggiori di altre realtà territoriali con una produttività storicamente ridotta e ciò trasformerebbe la differenziazione in diseguaglianza, con l'evidente rischio di colpire concretamente la coesione dei territori mettendo in grave pericolo l'unità nazionale. Infine non v’è traccia di fondo perequativo di solidarietà nazionale che permetta di riequilibrare le forti disomogeneità territoriali. Fino a che le regioni del meridione non raggiungono, con un fondo dedicato, almeno la media della capacità fiscale nazionale per abitante, non si può affrontare per nessuna regione il tema dell’autonomia differenziata a meno che non si preveda un fondo di solidarietà nazionale vincolato a sanare le disparità delle capacità fiscali territoriali, le cui risorse vengono distribuite con funzioni, sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione. Anche la riduzione del cosiddetto “fondo complementare” da 4 miliardi e 400 milioni di euro, a poco più di 700 milioni di euro rappresenta un ulteriore rischio per le regioni più povere. La Sicilia si trova immersa in questo scenario che potrebbe vedere uno Stato “arlecchino” con 20 regioni con profili istituzionali uno diverso dall’altro. Sulle 23 materie ogni regione potrà scegliere quali avocare a sé e quali no. 

Secondo degli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, la Sicilia perderà 1 miliardo e 300 milioni di euro circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza. 

Ricordiamo però che la Sicilia ha già dal secolo scorso una sua specialità, che è molto più rilevante della differenziazione. Bisogna rammentare gli artt. 36,37 e 38 dello Statuto della Regione Siciliana. A tale potente strumento, si aggiunge anche il comma 5 dell’art. 119 Cost. inserito dall'art. 1, comma 1, della legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2 che riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità. 

Quindi, oltre che rilevare ciò che di critico esiste nell’attuale riforma, la classe dirigente politica siciliana dovrebbe chiedere al governo nazionale l'attuazione completa dello statuto e non sprecare le risorse in dotazione, in tal modo sarebbe avviato un percorso di superamento delle criticità portate dalla riforma sull’autonomia differenziata.  Le fondate superiori preoccupazioni rappresentate, siano intese quale stimolo per reagire agli squilibri strutturali ed economici fortemente presenti nel meridione e che potrebbero portare a colpire in modo grave l'unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate”.

                       Salvo Sorbello - Presidente provinciale Forum Associazioni Familiari