lunedì 24 maggio 2021

Festa di Santa Lucia di maggio a Siracusa

 Il 13 maggio del 1646 era domenica e tutto il popolo siracusano si trovava raccolto in preghiera in Cattedrale per la solenne Messa votiva, voluta e celebrata dal vescovo Francesco Elia per rivolgere una supplica alla patrona Lucia e chiederle di intercedere affinché avesse finalmente termine la spaventosa carestia che aveva messo in ginocchio la città.


La terribile carestia del 1646

I siracusani l'avevano definita la “malannata” e  Serafino Privitera, nella sua Storia di Siracusa antica e moderna, annota: “Sterilissimo più che altro fu l’anno 1646, e la carestia giunse a un tale estremo in tutta la Sicilia, che diè occasione alle plebi fameliche a tumultuare… Siracusa nell’universale calamità non deplorò né gravi tumulti né scene di sangue…essendo i campi per diuturna siccità inariditi e arsi, la costernazione e lo squallore giunsero al sommo; la città presentava lo spettacolo della miseria e della fame il più triste e desolante. Allora la plebe cominciava a rumoreggiare contro i nobili e i Giurati. Il Vescovo però seppe attutir quel moto, col cangiar la disperazione popolare in ferma fiducia negli aiuti del Cielo. Chiamò il popolo alla preghiera, fece esporre su l'altare l’argenteo simulacro della Santa Patrona ed indisse otto giorni di pubbliche suppliche e perdonanze. In questo avvenne che la domenica, mentre gran popolo assisteva alla Messa solenne, improvvisamente si sparse la nuova, che erano entrati in porto dei legni carichi di grano e di legumi”. Secondo una cronaca del tempo del canonico Antonino De Michele, che era presente nel duomo,  il popolo vide entrare in chiesa una colomba, la quale si andò a posare sul soglio episcopale. “La folla si agitò, si commosse e accertata del vero gridò al miracolo e, giubilante, ringraziò la Martire protettrice per l’inaspettato favore… E fu fatto volto dal Senato e dal popolo, che ogni anno, in perpetuo, alla prima domenica di maggio trasportandosi il simulacro di S. Lucia nella chiesa del monastero al suo culto dedicato, ed ivi festeggiando per otto giorni si facesse la solenne ricordanza di tale avvenimento”.


Santa Lucia delle quaglie

Come ricorda mons. Sebastiano Amenta, fino a qualche decennio fa, all’arrivo del simulacro dalla balconata della chiesa di Santa Lucia alla Badia venivano lanciati colombi e quaglie. Ai giorni nostri si assiste invece al lancio di colombi viaggiatori dal giardino del seminario.



Il tentativo di riavere il Corpo

Proprio due anni prima, subito dopo essere stato eletto generale dell’Ordine dei frati minori cappuccini, padre Innocenzo Marcinò da Caltagirone, personaggio la cui fama era diffusa in tutto il continente europeo per la potenza della sua parola e dei suoi prodigi, aveva esperito, su espressa richiesta del vescovo e del Senato di Siracusa, un autorevole e promettente tentativo di otternere dal Patriarca di Venezia la restituzione “di tutto il corpo della sua Gran Padrona” Santa Lucia. E ci stava per riuscire, come ricorda mons. Pasquale Magnano: “La sua richiesta era stata accolta favorevolmente dal Serenissimo Principe e da una prima commissione; doveva passare da altre due commissioni”. 

Ma le  monache del monastero (che si trovava dove poi, a metà dell’Ottocento, venne costruita la stazione ferroviaria di Venezia, che proprio per questo porta il nome di Santa Lucia) si opposero strenuamente e riuscirono, con la loro tenace resistenza, a far fallire il tentativo del pur celeberrimo padre Marcinò. 

Di fronte a questo “smacco”, che i siracusani subirono con enorme dolore perché avevano  finalmente visto a portata di mano la restituzione del corpo della loro Patrona, trafugato con l’inganno dal generale Maniace nel 1039, i Padri Cappuccini di tutte le province si mobilitarono ed ottennero che al loro Padre Generale, che ne fece poi dono a Siracusa, venissero almeno consegnati “tre pezzi d’ossi di reliquij” della nostra Santa Patrona. 

Salvo Sorbello

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